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Tratto dal libro:
"Juan Peron Giovanni Piras due nomi una persona".
All'alba di un giorno d'estate del 1909, da Mamoiada in Sardegna,
un gruppo di giovani si avviava a piedi per un sentiero polveroso verso la vicina Nuoro.
Cantavano, con parole del dialetto della Barbagia, le stesse canzoni di addio
che puntualmente ogni tre mesi giovani sempre diversi intonavano oramai da molti anni.
Un armonica a bocca li accompagnava con le note di nenia di una danza sarda.
Quegli uomini erano emigranti destinati al sud America.
L'Argentina li attendeva per dar loro lavoro, giacchè l'emigrazione era (anche all'ora),
l'unica valvola di sfogo per i disoccupati della Sardegna.
Essi camminavano lenti ma decisi, scherzavano e ridevano quasi per farsi coraggio fra di loro.
Ogni quattro o cinque giovani portavano con sé un agnello fatto a pezzi,
pronto per essere consumato durante il viaggio.
Più d'uno aveva riposto, accanto al poco denaro, la fotografia della famiglia.
Si portavano addosso la speranza di una vita migliore, l'entusiasmo di un nuovo lavoro,
la voglia di vedere di persona ciò che gli altri avevano scritto o raccontato con entusiasmo.
Partivano con niente, si lasciavano dietro le spalle disoccupazione e miseria.
Poco prima avevano assistito alla celebrazione di una messa,
officiata esclusivamente per gli emigranti.
E tra quelle antiche navate della chiesa di Santa Maria,
tra quel profumo di incenso, i partenti promettevano solennemente
ai genitori, alle mogli, ai figli ed a se stessi di ritornare a Mamoiada.
Ma quasi per tutti non fu così . . .
La traduzione non è compresa nella edizione italiana.
En la madrugada de un día de verano de 1909, desde Mamoiada en Serdeña,
un grupo de jóvenes se dirigía a pie por un sendero polvoriento hacia la vecina Nuoro.
Cantaban, con palabras del dialecto de la Barbagia, las mismas canciones de adiós
que puntualmente, cada tres meses, jóvenes siempre distintos entonaban ya
desde hacía muchos años. Una armónica los acompañaba con las notas de cantilena
de una danza sarda. Aquellos hombres eran emigrantes con destino a Sudamérica.
La Argentina los esperaba para darles trabajo, ya que la emigración era
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de Serdeña.
Ellos caminaban lentos pero decididos, bromeaban y reían como para darse
coraje entre ellos. Cada cuatro o cinco jóvenes llevaban consigo un cordero cortado
en trozos, listo para ser consumido durante el viaje.
Más de uno había guardado, junto al poco dinero, la fotografía de la familia.
Llevaban consigo la esperanza de una vida mejor, el entusiasmo de un nuevo trabajo,
las ganas de ver personalmente lo que otros habían descripto o contado con tanto énfasis.
Partían sin nada, dejaban a sus espaldas desocupación y miseria. Poco antes habían
asistido a la celebración de una misa, oficiada exclusivamente para los emigrantes.
Y entre aquella antiguas naves de la iglesia de Santa María, entre aquel olor a incienso,
los que partía prometían solemnemente a los progenitores, a las mujeres, a los hijos,
a sí mismos, regresar a Mamoiada.
El viaje, si el océano fuera calmo, duraría un mes y el gasto que debían afrontar era
de 30 escudos cada uno. La ganancia anual era aproximadamente de 70. Para comprender
los valores monetarios del tiempo, basta pensar que con 70 escudos se podía adquirir un
buena yunta de bueyes aptos para el yugo.
Los emigrantes de Mamoiada, en aquel verano de 1909 eran: Francesco Gregu,
Andrea Canneddu, Giuseppe Turudda, Giovanni Lai conocido como Canela, Giuseppe Meloni, ...
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Il libro è composto da 222 pagine
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